Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha accolto il ricorso delle associazioni pro canapa al DM del 21 gennaio 2022, che escludeva fiori, radici e altre parti della canapa dall’uso officinale: un’altra vittoria per la cannabis light
Ancora un piccolo ma significativo passo avanti nella legalizzazione della cannabis e nel mondo della canapa in Italia, grazie a un’importante sentenza emessa dal TAR del Lazio che continua a legittimarne la produzione e l’uso.
Il 14 febbraio, infatti, il Tribunale Amministrativo Regionale ha accolto il ricorso delle associazioni nazionali del settore e rigettato il Decreto Ministeriale del 21 gennaio 2022, il quale imponeva un particolare divieto nella coltivazione e distribuzione di foglie, infiorescenze, germogli, e radici per scopi officinali attraverso un atto di natura amministrativa, facendo riferimento al Testo Unico sugli Stupefacenti (DPR 309/90).
Qui di seguito tutti i dettagli della notizia.
Il contenuto del Decreto Ministeriale
Il Decreto Ministeriale in oggetto è stato emanato il 21 gennaio 2022 ma è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale nel mese di maggio, per iniziativa del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste in concerto con il Ministero della Transizione Ecologica e il Ministero della Salute. Il DM si è concentrato sulla disciplina, sui criteri di raccolta e prima trasformazione delle piante officinali e, in particolare, sulla destinazione officinale della canapa.
In tal senso, nell’articolo 1 comma 4, il decreto sottolinea quanto l’impiego e la commercializzazione della canapa debba essere una esclusiva dei semi mentre, al contrario, la coltivazione e la vendita di prodotti ottenuti con le altre parti della pianta (quindi foglie, radici, germogli e fiori) debba invece essere ricondotta alla disciplina prevista dal Testo Unico sugli Stupefacenti, che prevede una particolare severità in materia.
Se quindi il decreto avesse avuto effetto avrebbe nel concreto limitato l’utilizzo delle infiorescenze e avrebbe causato un danno enorme alla filiera produttiva, ai coltivatori agricoli, ai distributori e ai rivenditori di prodotti a base di cannabis light. Avrebbe inoltre ignorato, di fatto, gli effetti benefici che essi comportano su pazienti affetti da varie patologie che ne fanno uso e, conseguentemente, sulla salute umana.
Per evitare tali conseguenze, numerose associazioni di categoria hanno dunque fatto ricorso al TAR del Lazio.
Il ricorso delle associazioni
Alcune associazioni in difesa del libero uso della cannabis presenti sul territorio italiano, tra cui Canapa Sativa Italia, hanno attuato il ricorso al Tribunale Amministrativo facendo riferimento ai sensi della legge n.242/2016 (Disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa), che, al contrario di quanto affermato dal DM, delibera che tutte le parti della pianta di canapa possano essere liberamente coltivate e distribuite.
Un altro elemento a favore del rigetto del Decreto Ministeriale è stato inoltre un precedente avvenuto in territorio francese. Si tratta di una sentenza emanata dal Consiglio di Stato della Francia che ha decretato che non è possibile vietare in modo generico e assoluto la coltivazione e la commercializzazione di foglie e fiori della cannabis, data la mancanza di prove che ne attestano la pericolosità per la salute.
Inoltre, già nel 2020, la Corte di Giustizia Europea aveva confermato il concetto, reclamando l’impossibilità di limitare la liberalizzazione della cannabis con contenuti di THC al di sotto della soglia prevista dalle normative vigenti. La pianta di canapa priva di THC, infatti, non rientra nella categoria dei narcotici e nelle relative convenzioni internazionali e dunque non è legittimo limitarne la vendita e le applicazioni industriali e officinali.
La sentenza del TAR del Lazio
Allineandosi quindi a tali precedenti, la sentenza n. 2613 del 14 febbraio 2023 emessa dal TAR del Lazio, ha accolto le rimostranze delle associazioni di categoria.
Di fatto, il Tribunale ha rigettato la parte del decreto riguardante la canapa, rilevando che sia possibile intraprendere coltivazioni specifiche nelle varietà certificate e ammesse dalla Legge, sottolineando che «non è dato evincere alcuna distinzione tra le parti della pianta di canapa liberamente coltivate, ai sensi della legge citata n. 242/2016, che possono essere utilizzate per le finalità stabilite dalla legge medesima. La disciplina di settore di matrice internazionale e comunitaria chiarisce, infatti, che il criterio discretivo per stabilire la libera coltivazione della canapa risiede nella tipologia di pianta, considerata nella sua interezza».
Nella fattispecie, non è possibile fissare limitazioni arbitrarie, a meno di ragioni scientificamente fondate che attestino pericolosità del prodotto per la salute pubblica, che il TAR non riscontra. Una normativa nazionale, infatti, non può vietare le commercializzazione della pianta di canapa sativa in parti o intera, poiché sarebbe in contrasto con gli articoli 34 e 36 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che determinano la libera circolazione delle merci.
Riassumendo, il provvedimento impugnato viene di fatto annullato e vengono invitate le autorità competenti a riesaminare il tutto, tenendo conto da una parte dei principi dell’Unione Europea di precauzione e di proporzionalità e dall’altra della mancanza di evidenze scientifiche sottese all’esigenza di tutela della salute pubblica.